Zveteremich su Bulgakov

↖️ Zveteremich su Bulgakov. La recensione di Pietro Zweteremich fu pubblicata su Rinascita del 14 aprile 1967 ed è reperibile presso la biblioteca Gino Bianco di Forlì.

Zveteremich su Bulgakov

A pochi mesi dalla sua pubblicazione nell’Unione Sovietica (sulla rivista Moskva, nello scorso autunno-inverno), ecco uscire anche da noi Il maestro e Margherita, romanzo postumo di Michail Bulgakov, autore già noto al pubblico italiano sin da quando Ettore Lo Gatto ne scrisse sulla Rivista di letterature slave (1929, IV) dopo aver tradotto il suo La guardia bianca (1927) e Umberto Barbaro presentò la versione di Le uova fatali (1931). Più recentemente, come si ricorderà, usciva presso Einaudi dello stesso Bulgakov l’incompiuto Romanzo teatrale, mentre ora non una casa editrice, ma tre simultaneamente (De Donato, Rizzoli, Einaudi) offrono le loro traduzioni (rispettivamente di Olsoufieva, De Monticelli, Dridso) del Maestro e Margherita, presentandolo come l’avvenimento letterario dell’anno.

Il lancio clamoroso del libro (tenuto a battesimo dallo scrittore Konstantin Simonov nella prima pubblicazione su rivista, che di consuetudine in URSS precede l’edizione libraria d’ogni opera) si è accompagnato a un eccezionalmente sollecito e vivace intervento della nostra critica, quale nei confronti di un testo russo quasi mai è dato di vedere; e bene come Eugenio Montale, Paolo Milano e Giorgio Zampa (Corriere della sera, L’Espresso, La Stampa) ne hanno scritto. Si è fatto il nome del Pasternak del Dottor Živago, della grande tradizione letteraria russa, in questo libro di Bulgakov miracolosamente risorta dopo trent’anni di grigio realismo socialista, e il pubblico anche meno attento dovrà dunque fermarsi a meditare sulla copertina di quest’opera davanti alle vetrine delle librerie. Varrà anche la pena che varchi la soglia, la comperi e se la legga, perché, se non si può parlare della rivelazione di un autore, essendo Bulgakov noto già da tempo anche da noi in Italia, almeno provvisoriamente, questo sempre azzardato termine di rivelazione si addice senza dubbio al libro in oggetto. Ossia almeno nel senso che si tratta in ogni caso di un’opera che sta al di sopra della corrente produzione letteraria, russa o no, di un’opera che, anche a una prima affrettata lettura, si dimostra così tessuta di sollecitazioni e di provocazioni all’intelligenza del lettore da meritare già solo per questo di non essere ignorata e da richiedere però anche una più attenta e meditata ricognizione affinché sia possibile riconoscerne i significati, i valori e decidere in ordine alla sua qualità e alla sua collocazione nella storia letteraria.

Si tratta di un libro ambiguo (nel senso più produttivo della parola): di un’eccezionale operazione di intelligenza e cultura letteraria, di una prodigiosa costruzione di metafore, simboli, allegorie: di un messaggio cifrato in bottiglia (come scrive Zampa), affidato alle onde tempestose degli anni staliniani e giunto a riva soltanto ai nostri giorni con le sue pagine di una prosa tesa e fantasmagorica, di scrittura sempre rigorosamente sorvegliata e volutamente distaccata in tutto l’avvicendarsi di piani narrativi a cui ricorre: sia la minuziosa ed esasperata descrittività realistica; siano il sarcasmo, la satira e il grottesco; siano il lirismo e gli excursus storici e filosofici, sia il fondersi del presente e del passato in un unico spazio temporale, sia la messa in opera, sul terreno della tradizione di Gogol, Dostoevskij, Leskov, Saltykov (ossia (ossia della linea grottesco-satirico-fantastica sempre viva nella letteratura russa), degli insegnamenti stilistici di Belyj e di Remizov e dei postulati dell’OPOJAZ (soprattutto con lo sguardo fisso alla loro “teorija otstranenija”). 

Questo complesso e articolato organismo letterario si riveste delle forme del romanzo e si offre perciò a una libera e anche distratta lettura, ma cela nel suo congegno un messaggio in codice sul cui significato probabilmente si discuterà a lungo. È sua quest’ambiguità dell’opera. questa sua duplicità di discorso. questo suo strutturarsi sulla sovrapposizione e l’urto di un giuoco letterario e e di un messaggio morale. di una storia ironica e divertita alla Lesage e alla Hoffmann e di una profferta di dibattito filosofico e si predicazione secondo la linea del grande romanzo russo del-l’Ottocento e specialmente di Dostoevskij. che ne fanno riconoscere la singolarità, e le ragioni innegabili e serie di interesse. ancora prima clic si affronti un giudizio globale. 

Bulgakov già verso la metà degli anni venti era uno scrittore affermato con i racconti satirici e fantastici di Diavoleria e con il romanzo La guardia bianca (sul quale elaborò il dramma I giorni dei Turbin, che ebbe enorme successo) e con queste cose si rivelava egualmente versatile e ricco di possibilità sui due registri assolutamente opposti di una narrativa fantastica e sorretta dal più libero e sapiente impegno stilistico e di una narrativa, al contrario, del più pacato e lucido realismo psicologico. quasi una discendenza da Bunin. Gia in quegli anni, tuttavia, le Uova fatali  in cui il fantastico e il grottesco accendono una satira violenta (esattamente come nel Maestro e Margherita) della realtà presente, e come nei Giorni dei Turbin con la loro rappresentazione della fine dei bianchi. gli causano le censure della potente associazione dei letterati proletari (RAPP, di cui allora era uno dei capi Fadeev), cosa da cui gli derivano l’isolamento e crescenti difficoltà come scritture e come cittadino. Il successivo e pubblico giudizio di Stalin sui Giorni dei Turbin come opera politicamente utile varrà a rimettere in circolazione il dramma e forse a evitare a Bulgakov la tragica sorte di altri intellettuali. ma non imita evidentemente le condizioni in cui giù da vari anni deve muoversi tutta la cultura sovietica e che si faranno anzi, com’è noto, sempre più pesanti. Come moltissimi altri, Bulgakov ne ha le ali tarpate, la sua carriera di scrittore è praticamente troncata, e fino alla morte avvenuta nel 1940 per malattia, lavora come collaboratore di Stanislavskij al Teatro dell’Arte. E’ in questa situazione che, dal 1928, per dodici anni scrive Il maestro e Margherita redigendone numerose varianti e lavorando fino all’ultimo a quella stesura definitiva che la scomparsa immatura gli impedì. 

Tener presente questo contesto consente di comprendere subito come il romanzo si agganci direttamente e drammaticamente a una realtà storica data: la Mosca degli anni trenta, e come tutte le sue figure, reali e fantastiche, e tutti i suoi motivi: di satira diretta e di predicazione filosofica o di messaggio etico si riconducano a quella realtà data e trovino in essa la chiave dei loro significati. In quella Mosca degli anni trenta arriva un giorno il Diavolo nelle spoglie di un professore tedesco di magia nera di nome Woland e si presenta come turista in un parco pubblico a due letterati, Berlioz e Bezdomayj. Costoro stanno discutendo sul modo in cui si debba scrivere un poema antireligioso e si debba pertanto affrontare il problema della realtà storica della figura di Gesù. Il turista Woland ovvero il Demonio s’immischia nella loro conversazione, contesta la loro tesi che Cristo non sia esistito e. a riprova, racconta la storia dell’ultimo interrogatorio di Pilato come un testimone oculare e secondo un’interpretazione in cui Cristo è Jeshua: non un Dio incarnato né un  profeta, ma un povero diavolo d’ebreo che predica solo la bontà fra gli uomini, una figura assai vicina agli inròdivye dell tradizione russa, i folli mistici che escono dagli strati profondi dei popolo e si atteggiano a maestri ispirati e predicatori. La storia che Woland racconta e che si intreccia, sempre al presente, come un romanzo nel romanzo, al racconto delle straordinarie vicende che l’arrivo del Demonio a Mosca mette in moto. si rivela poi nient’altro che il romanzo scritto da un non meglio specificato Maestro. Costui ora si trova in una clinica per alienati dopo che (come Gogol) ha dato alle fiamme la sua opera, sopraffatto dall’ostilità con cui essa i stata accolta nell’ambiente moscovita. Ma, mentre Satana-Woland imperversa a Mosca, svolgendo con le sue imprese la funzione di rivelatore degli assurdi di quegli anni, come delle immagini di un negativo non ancora sviluppato. il Maestro fugge in volo da questo mondo con la sua amata Margherita, la quale, come l’aveva aiutato con il suo amore a scrivere il libro, ora per amor suo si fa strega nel sabba di Woland e, e così riscattati in una grandiosa notte di Valpurga essi troveranno la pace nel loro amore  in una dacia rossa fuori del tempo e dello spazio.  Questo gli concederanno Woland e Jeshua, associati e quasi identificati nell’insopprimibile  legame del bene e del male, e anche Pilato avrà quel colloquio con Jeshua che da secoli attende, pietrificato in un paesaggio siderale. 

“II romanzo, nota Simonov nella sua presentazione, “è scritto come se Io scrittore. sentendo che questa era la sua ultima opera, abbia voluto dare tutte le ricchezze della sua anima e della sua tavolozza di artista, tutta la perspicacia del suo occhio satirico, tutta la sfrenatezza della sua fantasia. tutta la profondità del suo grado di osservazione psicologica. I.a munificenza con cui ciò viene fatto a volte nel leggere il romanzo sembra persino smodata e i passaggi da una cosa all’altra a volte sono cosi bruschi che cominciano a sembrare delle suture ncl tessuto della narrazione. La subitaneità dei passaggi dalla più sfrenata fantasmagoria a una prosa realistica. affilata ed economica alla maniera dei classici, a un sovrabbondante e tempestoso umorismo, persino sbigottisce, specialmente in principio. finché non si è presi dalla lettura del romanzo e non ci si comincia ad abituare al fatto che dietro ad ognuno dei suoi innumerevoli angoli acuti. ti aspettano sempre nuove sorprese e nuove scoperte. Nel libro c’è una sorta di mancanza di calcolo, c’è una sorta di splendore premortale di un grande talento che, chissà dove in fondo alla sua anima, già sentiva la brevità del cammino della vita clic gli restava da percorrere,

Che II maestro e Margherita sia un libro eccezionale, come scrive Paolo Milano, è certamente lecito affermarlo, ma credo che si possano anche condividere i suoi dubbi (e anche quelli di Montale) sull’opportunità di collocarlo fra i grandi nomi della letteratura russa del secolo passato o anche fra quelli della letteratura russa contemporanea in cui, attraverso un grande magistero letterario, si sente farsi corpo la verità poetica. in cui la scoperta artistica si rende palese, palpabile come una cosa. ossia almeno Babel, Olesa. Pasternak del Zivago, ma io ci metterei anche Pilnjak. Zoscenko. Platonov e almeno certe cose di Prisvin, di Paustovskij e di altri. Qui invece permane l’impressione di un atto letterario, altissimo ma irrimediabilmente chiuso. in sé, le cui stessa diatriba ideate  appare fondamentalmente un atto raziocinante, speculativo. quando, al contrario appartiene alla tradizione degli scrittori russi da Gogoi I)ostoevskii Tolstoj in su fino, se vogliamo. al Zivago e anche (perché no a Solzenicyn, scriverla con il sangue, l’anima se volete. più che non con il cervello. Non sembra questo il filone in cui si pone Il maestro e Margherita. il cui nesso con la tradizione narrativa russa appare piuttosto come una operazione letteraria di sapienza e suggestione estreme. ma dove la letteratura rimane tale e non si fa vita. Questo sembrano sentire anche alcuni recensori italiani i quali si chiedono se non siano le versioni clic fanno schermo ai valori reali del libro. Credo che una simile ipotesi non si possa accettare, perché nessuna traduzione, anelata la peggiore, e mai riuscita a nascondere lo scrittore elle c’era sotto. sia pure deturpatolo-!, mutilandolo, degrada.ndolo; conte nessuna traduzione. anche la più provveduta, ha mai fatto nascete tino s•rit-tore da un testo in cui non C’era.

La traduzione é sempre un’approssimazione. dal grado infimo al supremo ottenibile. a quella realtà già data nel testo originale; esso, quanto più ‘accludente nella sua vitalità artistica, tanto più può sulla i:, della me-ditar:11a della traduzione ma tanto più Se 11e vendica uscendone dietro cura’ LIII fantasma privato dal traduttore della sua carne e atei suo sangue. ma per questo più iracondo, balenante al lettore, accusatore. 

Letto in russo ll maestro e Margherita, con il suo stra-ordinario virtuosismo espressivo e stilistico, e confrontato fuggevolmente con le traduzioni uscite, si può forse dire elle se una (Einaudit sembra impacciata in un linguaggio lettera-rio di convenzione e piuttosto togato. che non e dell’originale e le da peri, un esterno latore: se l’altra We 1).- nato, a questa sistemazione stilistica anodina e priva di Un preciso rap-porto con la pagina di Bulgakov pre-ferisce una resa immediata e sponta-nea dell’originale e manca però ali un registro letterario sicuro, entrambe appaiono tuttavia degne e non infe-riori alla buona incanta, sicché il let-tore non pini pensarsi travialo pia, del consentito e dell’inevitabile. An-che sotto al, esse egli sentiria la par-tita stilistica giocata ala Ilidgakov, per-ché se il traduttore non ‘mai occulta-re Io scrittore, con le sue stesse ina-deguatezze rivela anche il letterato quando costui nell’originale prevale stillo scrittore, e leggere in traduzio-ne c sempre come leggere una pagina a citi siano state tolte le vocali e la-sciate solo le consonanti, ossia un si-stema ali segnali dietro cui immagi-niamo l’originale e a cui si può cline. dere solo di essere rilessi giusti e non alla rovescia. 

Questo sia detto per tranquillità di chi esita a pronunciare un giudizio attraverso una traduzione. C’è da pensare che nel giudizio di un’opera straniera sia più necessario il soccorso della migliore possibile informazione sulla cultura da cui essa è uscita. Così lascia perplessi leggere in quanto si è scritto da noi finora su questo romanzo diBulgakov l’affermazione che esso sarebbe, insieme al dottor Zivago di Pasternak. l’unica opera apparsa da trenta anni a questa parte di cui si avverte la genesi nella grande tradizione letteraria russa. Un’asserzione del genere lascia perplessi se soltanto si pensa a scrittori come Zamjatin. Ivanov, Pilnyak, Babel, Olesa, Grin, Prisvin, Platonov e anche Pauslovskij, oltre ad altri minori. che scrissero e pubblicarono, pur fra infinite difficoltà e limitazioni anche nel periodo in cui fu scritto Il maestro e Margherita e dopo, e che tennero alta la dignità dello scrittore russo e sovietico di fronte alle rinunce e alle aberrazioni della letteratura ufficiale; se si pensa anche ad alcuni autori emersi nel dopoguerra, dei quali si può discutere la statura artistica, ma ai quali non si possono negare il richiamarsi serio e onesto alle migliori tradizioni letterarie russe e la volontà di continuarle oggi, e alludo, per esempio. a Tendrjakov, ad Antonov, a Nagibin, a Kazakov, a Dombrovskij e a Solzenicyn; quando si pensi allo stesso Majakovskij (e in ordine a questo discorso non importa se si tratta d’un poeta e non d’un narratore) a proposito del quale va meditala l’affermazione, apparentemente paradossale ma quanto vera, che Pasternak mette in bocca a Zivago. e cioè essere lui, il comunista militante Majakoskij, una dei personaggi grandiosi di Dostoevskij con il suo dibattilo delle idee ultime, con il suo nichilismo, ossia con il suo russo ripudio del compromesso morale e ideale, il suo intendere la poesia come rivelazione e predicazione di verità generali per gli uomini. 

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