↖️ La realtà con lo sguardo di Dante. Il poema di Dante è un racconto fantastico che immagina l’aldilà, il mondo che ci attende dopo la nostra morte. Per Dante, e per i suoi lettori per molti secoli, è un mondo che esiste, di cui però non abbiamo esperienza, e possiamo solo, per ora, immaginare. Eppure, nel racconto fantastico di Dante, irrompono spesso squarci di realtà, descrizioni di oggetti, di persone, descrizioni accurate, precise, straordinariamente verosimili. Perché?
Certo Dante non è mosso dalla motivazione del romanzo ottocentesco che scopre il terzo e poi il quarto stato, ed ha interesse alla rappresentazione sociale, vuole a narrare le motivazioni, le riflessioni, le scelte non di uomini grandi e illustri ma ad esempio di un filatore di seta e di una contadina,…
Niente di tutto questo in Dante. La ragione è invece nell’idea che il poeta ha della storia umana e della scrittura.
Facciamoci guidare da Dante stesso ad affrontare la sua scrittura. con il video qui sotto .

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Divine Comedy Remix/2. Dante Unplugged. Translation into English of Versi in viaggio,

Versi in viaggio. Il saggio dedicato alla struttura narrativa della Commedia in formato ebook e in volume
La realtà con lo sguardo di Dante
Il realismo nella Commedia, una cavalcata tra i versi più celebri di Dante. Il video di presentazione che ripercorre i momenti essenziali della conferenza alla Biblioteca Civica di Vimercate nel maggio 2022.
Il realismo nella Commedia
La realtà con lo sguardo di Dante. Commento di Nanda Cremascoli
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!
È il celebre inizio della Divina Commedia. L’inizio di un racconto fantastico che immagina il mondo che ci attende dopo la nostra morte. Per Dante, e per i suoi lettori per molti secoli, un mondo che esiste, ma di cui, non avendo esperienza, possiamo solo fantasticare.
La Divina Commedia è il racconto di un viaggio che attraversa i tre regni dell’oltretomba l’inferno, il purgatorio e il paradiso. L’alta fantasia del poeta li immagina sulla base di quello che allora era la geografia del nostro pianeta.
Alla base dell’invenzione
All’epoca di Dante i dotti ritenevano la terra di forma sferica, come già sapevano i Greci, e divisa in due emisferi: in origine le terre stavano nell’emisfero sud, quello più nobile perché collocato dalla parte della beata sede celeste di Dio. Ma quando Lucifero e altri angeli si ribellarono a Dio ed egli li fece precipitare dal cielo, le terre emerse, spaventate, si ritrassero nelle acque riemergendo nel nostro emisfero. Lucifero rimase confitto nel centro della terra, che, sempre per sfuggirgli, si ritrasse producendo una caverna naturale ed una montagna, su cui Dante colloca il purgatorio.
La mappa delle terre emerse e il purgatorio
Le terre emerse si trovano ormai solo nell’emisfero nord, sono circondate dall’oceano. Gerusalemme, anzi il Golgota dove il Cristo fu crocefisso, è il centro delle terre emerse. Sotto Gerusalemme la fantasia di Dante colloca l’inferno e lo stretto condotto che dal centro della terra sbuca ai piedi della montagna del purgatorio.
E qui si esercita veramente l’alta fantasia del poeta. La tradizione cristiana non dà indicazione esplicita sull’ubicazione del purgatorio, né del paradiso terrestre là dove Adamo fu creato. Dal Genesi Sant’Agostino deduce che la dimora dei progenitori dell’umanità fosse collocata contra Paradisum, cioè di fronte al Paradiso e quindi agli antipodi delle terre emerse che stanno nella parte meno nobile della sfera terrestre. E’ cosi’ che Dante immagina nell’emisfero australe un’isoletta su cui s’eleva un montagna alla cui sommità sta il giardino dell’Eden.
La mappa delle sette sfere celesti
Sopra la terra s’innalzano i cieli. L’universo è costituito infatti da una serie di sfere concentriche. La terra è la più piccola e si trova al centro dell’universo. Intorno alla terra ruotano nove sfere celesti contenute l’una nell’altra. Ecco allora i sette pianeti dell’astronomia antica (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno), l’ottava sfera è il cielo delle stelle fisse; la nona sfera è il cielo cristallino detto anche Primo Mobile, perché è il primo cielo a ruotare su se stesso e ad imprimere il movimento alle otto sfere in esso contenute. Al di là della sfera più grande è il cielo empireo sede di Dio e dei beati.
Queste nozioni elaborate dalla cultura filosofica e scientifica medievale stanno alla base dell’invenzione di Dante.
Buio, fracasso, terrore
La Commedia è un racconto fantastico. Narra una viaggio coloratissimo nei paesaggi, affollatissimo di personaggi, “splatter” nel racconto dei castighi dei peccatori.
L’inferno è soprattutto un ambiente buio e rumoroso, che suscita paura proprio perché l’oscurità impedisce la vista.
Quivi sospiri, pianti e alti guai
risonavan per l’aere sanza stelle,
per ch’io al cominciar ne lagrimai.
Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti d’ira,
voci alte e fioche, e suon di man con elle
facevano un tumulto, il qual s’aggira
sempre in quell’ aura sanza tempo tinta,
come la rena quando turbo spira.
Un diavolo spaventoso arriva. un vecchio, bianco di capelli, occhi fiammeggianti. Ma più spaventose ancora sono le sue parolee il suo gesto di percosse.
Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio, bianco per antico pelo, gridando: «Guai a voi, anime prave! Non isperate mai veder lo cielo: i' vegno per menarvi a l'altra riva ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo.
La reazione delle anime, nude, a sottolineare la loro totale sudditanza, è di terror.
Ma quell’ anime, ch’eran lasse e nude,
cangiar colore e dibattero i denti,
ratto che ‘nteser le parole crude.
Caron dimonio, con occhi di bragia
loro accennando, tutte le raccoglie;
batte col remo qualunque s’adagia.
Splatter
Dove la fantasia di Dante produce le immagini più memorabili è nell’invenzione delle pene dei dannati. A scuola ce lo insegnano come “contrappasso”: sei stato un ignavo, una persona inerte , allora la tua pena sarà di essere punto in continuazione e in modo doloroso da grossi insetti e le tue lacrime e il tuo sudore sarà raccolto da schifosissimi vermi in mezzo ai quali dovrai camminare.
Non sono immagini degne di un film splatter, uno stile caratterizzato da immagini raccapriccianti e macabre? Ebbene Dante è più bravo di Quentin Tarantino!
Noi discendemmo il ponte da la testa
dove s’aggiugne con l’ottava ripa,
e poi mi fu la bolgia manifesta:
e vidivi entro terribile stipa
di serpenti, e di sì diversa mena
che la memoria il sangue ancor mi scipa.
In questa cerchia di Malebolge sono puniti i ladri. Stanno in una fossa di serpenti!
Tra questa cruda e tristissima copia
corrëan genti nude e spaventate,
sanza sperar pertugio o elitropia:
con serpi le man dietro avean legate;
quelle ficcavan per le ren la coda
e ‘l capo, ed eran dinanzi aggroppate.
Ed ecco a un ch’era da nostra proda,
s’avventò un serpente che ‘l trafisse
là dove ‘l collo a le spalle s’annoda.
Tra questi rettili, così numerosi così crudeli così terribili, sono dannati i ladri. Nudi, senza riparo ove nascondersi (“senza sperar pertugio”) senza alcun lenimento per il dolore (“elitropia”), devono correre i dannati, i ladri. Sono spaventati e hanno le mani legate dietro la schiena. Al posto della corda, un serpente lega le loro mani, troppo svelte in vita, e dunque -contrappasso- ora sono immobilizzate. Il nodo è orribile, perché dal fondo schiena, testa e coda del serpente sbucano sul davanti e lì sono annodati.
Immobilizzate le mani, senza rifugio o difesa, i dannati sono esposti al morso dei rettili. Ed ecco un ladro proprio vicino a Dante assalito d’un serpente che lo morde tra il collo e il dorso, poi una fiammata lo avvolge e lo brucia, riducendolo in cenere. Ma il supplizio non è finito: il ladro risorge dalle sue ceneri, come la fenice. L’incubo non ha fine, il supplizio ricomincia.
Luce vs buio
Ancora un esempio dal Purgatorio. Il purgatorio è un luogo chiaro, del colore dolce di uno zaffiro orientale, dove il poeta torna “a riveder le stelle”; è però un luogo aspro, scosceso e gonfio di pene dolorose, benché non prive di speranza, a differenza dell’inferno.Il fantastico del Purgatorio si esprime nel contrasto con le immagini infernali nel primo canto nell’opposizione buio/luce.
La stessa opposizione buio/luce caratterizza anche i primi due personaggi che i pellegrini incontrano. All’ingresso dell’inferno c’è Caronte, un demonio dagli occhi fiammeggianti nel volto incorniciato dai capelli bianchi. All’ingresso del purgatorio c’è Catone Uticense, un vecchio dai capelli bianchi.
Catone vs Caronte
Ma Caronte è laido, Catone è candido. Caronte grida minaccioso, Catone interroga severo. La sua figura non ispira spavento ma venerazione, e rispetto, così come il figlio verso il padre e i cristiani verso i grandi profeti dell’antico Testamento. A questi la testa di Catone somiglia per i capelli lunghi e la barba bianca, lunga anch’essa fino al petto, su cui ricade formando due liste. Caronte ha “occhi di bragia”, Catone è illuminato da quattro stelle: le virtù cardinali, “naturaliter” cristiane.
Infine Caronte grida le sue minacce, mentre Catone, avvertita la presenza, per così dire irregolare, di Dante e Virgilio, li accoglie con parole di grande severità, ma di raffinata retorica: tre terzine e tre interrogazione (“Chi siete voi?” – “Chi v’ha guidati?” – “Son le leggi d’abisso così rotte?”)
Chi siete voi che contro al cieco fiume
fuggita avete la pregione etterna?»,
diss’ el, movendo quelle oneste piume.
Chi v’ha guidati, o che vi fu lucerna,
uscendo fuor de liia profonda notte
che sempre nera fa la valle inferna?
Son le leggi d’abisso così rotte?
o è mutato in ciel novo consiglio,
che, dannati, venite a le mie grotte?
E sempre a Virgilio, anche in questo episodio, è affidato la missione di trattare con queste figure fantastiche immaginate dal poeta per fare della sua storia il sacro poema che ha in mente. Anche in questo episodio Virgilio risponde alle domande del suo interlocutore. Ma se con Caronte era stato reciso e breve, intimandogli l’obbedienza, con Catone non osa. Il suo tono è molto garbato e gentile.
L’arsenale dei veneziani
Dunque fin qui, attraverso due episodi, i ladri prima e poi in purgatorio Catone, abbiamo tentato di cogliere la dimensione fantastica del poema di Dante. Ma, come s’è già detto, in questo racconto fantastico irrompono spesso squarci di realtà, descrizioni di oggetti e di persone, accurate e precise, straordinariamente vere.
Sentite la descrizione dell’arsenale di Venezia: il poeta racconta gli oggetti che vi compaiono e le attività lavorative che vi si svolgono. È il XXI canto dell’inferno. Un lago di pece bollente si para davanti agli occhi di Dante e per descriverlo lo paragona all’arsenale di Venezia.
Quale ne l’arzanà de’ Viniziani
bolle l’inverno la tenace pece
a rimpalmare i legni lor non sani,
ché navicar non ponno – in quella vece
chi fa suo legno novo e chi ristoppa
le coste a quel che più vïaggi fece;
chi ribatte da proda e chi da poppa;
altri fa remi e altri volge sarte;
chi terzeruolo e artimon rintoppa:
tal, non per foco ma per divin’ arte,
bollia là giuso una pegola spessa,
che ‘nviscava la ripa d’ogne parte.
La pece, le navi, i remi , le sartie, le vele, quella minore, terzeruolo, e quella maggiore, artimon; c’è chi rispalma di pece gli scafi usurati, c’è chi costruisce navi nuove e chi tura con la stoppa le falle tra tavola e tavola sui fianchi (coste), c’è chi batte e ribatte i chiodi col martello da prora a poppa, c’è chi fa remi. È una lunga similitudine (Qual … tal) per raccontare la fossa di Malevole – la quinta – dove bolle la pece che punisce i barattieri, noi li chiamiamo “faccendieri”, cioè i corrotti che usano la loro carica pubblica per arricchirsi. Non vi ricorda qualcuno in questo vero oggi?
Farinata, dalla cintola in su
Anche la presentazione di certi personaggi umani è fortemente naturalistica. Per esempio Farinata degli Uberti. Prima ancora di vederlo, ne sentiamo la voce, cortese ed imperiosa ad un tempo. È il decimo canto dell’inferno.
“O Tosco che per la città del foco
vivo ten vai così parlando onesto,
piacciati di restare in questo loco.
La tua loquela ti fa manifesto
di quella nobil patrïa natio,
a la qual forse fui troppo molesto”.
Subitamente questo suono uscìo
d’una de l’arche; però m’accostai,
temendo, un poco più al duca mio.
Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai?
Vedi là Farinata che s’è dritto:
da la cintola in sù tutto ‘l vedrai».
Io avea già il mio viso nel suo fitto;
ed el s’ergea col petto e con la fronte
com’ avesse l’inferno a gran dispitto.
Questa voce esce improvvisamente da una delle arche degli eretici in mezzo alle quali Dante e Virgilio si trovano. Nell’udire questa voce umana Dante ha un moto di paura e si nasconde quasi dietro a Virgilio. Il maestro lo rimprovera (il poeta passa al discorso diretto): “Girati, che stai facendo! Guarda là: in piedi c’è Farinata. Lo puoi vedere dalla cintola in su.” Dante allora si gira è guarda con attenzione questo personaggio, che sta dritto, petto in fuori e fronte alta, in segno di disprezzo del luogo dove si trova. Dopo la voce, ecco la figura alta e scultorea di Farinata, che i tormenti infernali non intaccano (com’ avesse l’inferno a gran dispitto). Lo vediamo in piedi dalla cintola in su. L’accento toscano di Dante lo ha spinto ad alzarsi, diritto, superbo e cortese insieme.
Fisicità
La fisicità è il tratto che caratterizza nell’antipurgatorio anche Jacopo del Cassero e Bonconte da Montefeltro, morti di morte violenta («noi fummo tutti già per forza morti»). Il tema del corpo ferito e violato torna con un’evidenza che è impossibile non notare.
Quindi fu’ io; ma li profondi fóri
ond’ uscì ‘l sangue in sul quale io sedea,
fatti mi fuoro in grembo a li Antenori
Purg., V, 73-75
Le ferite del corpo di Jacopo sono una presenza ossessiva, rimarcata anche dalle allitterazioni e dalle iterazioni consonantiche: «li profondi fóri / …. / fatti mi fuoro». I luoghi dell’agguato in cui Jacopo cade sono evocati con precisione geografica.
Ma s’io fosse fuggito inver’ la Mira,
quando fu’ sovragiunto ad Orïaco,
ancor sarei di là dove si spira.
Purg., V, 79-81
Se fossi fuggito verso la Mira, quando fui raggiunto dai miei assassini presso Oriago, dice Jacopo, oggi sarei ancora vivo. Jacopo poi evoca la corsa, inseguito dai suoi assassini. Evoca le canne e il fango della palude che lo impigliano e lo fanno cadere e il lago di sangue che vede allargarsi sotto di sé.
Corsi al palude, e le cannucce e ‘l braco
m’impigliar sì ch’i’caddi; e lì vid’ io
de le mie vene farsi in terra laco.
Purg., V, 82-84
Il suo affanno angoscioso è rievocato anche dal ritmo della terzina. «Corsi al palude»: l’ictus cade qui sulla prima posizione del verso, la sintassi si rompe, perché «cannucce» e «braco» sono i soggetti del verbo «m’impigliar» che si trova nel verso successivo; anche l’inversione sintattica «de le mie vene» precede l’immagine del «laco», metafora potente che esprime l’orrore di Jacopo che osserva se stesso morire: «vid’io», dice Jacopo, insistendo sul pronome, parola rima del verso. La concretezza, l’attualità dei personaggi, ma anche dei luoghi, degli eventi in un racconto dichiaratamente simbolico è fenomeno rilevante. Come dice Eric Auerbach «Dante porta nel suo aldilà la storicità terrena».
Perché? Certo non è mosso dalla motivazione del romanzo ottocentesco che scopre il terzo e poi il quarto stato, ha interesse alla rappresentazione sociale, vuole a narrare le motivazioni, le riflessioni, le scelte non di uomini grandi e illustri ma ad esempio di un filatore di seta, di una contadina,…Niente di tutto questo in Dante. La ragione è invece nell’idea che Dante ha della storia e della scrittura. Facciamoci guidare da Dante stesso ad affrontare la sua scrittura.
L’interpretazione figurale della storia e della scrittura
Nel Convivio, un trattato che scrive in volgare proprio per essere letto anche da chi non conosce la lingua dei dotti, cioè il latino, Dante dice che le scritture, tutte, hanno un senso letterale ed uno simbolico.
La lettera
La lettera del testo dei poeti non necessariamente è vera, può raccontare qualcosa di immaginario, può essere fiction come diciamo noi oggi, peraltro usando un vocabolo latino, il verbo “fingo” che significa anzitutto “immaginare”, “inventare”. E tuttavia anche se la lettera del testo è frutto della fantasia del poeta, nel testo sono celate delle verità. Lui stesso Dante, in quanto poeta, pratica la “bella menzogna” per comunicare la verità. Dunque Dante dice ai suoi lettori di fare attenzione al senso letterale del testo, la “bella menzogna”, perché ne contiene altri di sensi che possono essere di tre tipi: uno allegorico, uno morale, e quello anagogico o figurale.
L’allegoria
Il senso “allegorico” è il senso che si nasconde sotto il manto delle favole dei poeti, è cioè una verità nascosta sotto parole che possono essere menzognere. Dunque i serpenti he legano le mani e tormentano i ladri sono un’allegoria: è legato e tormentato orribilmente chi di mano è stato fin troppo svelto, come un ladro, appunto! La selva e le tre bestie feroci che impediscono il cammino di Dante sono l’allegoria dello smarrimento nel peccato e del suo potere.
Il senso morale
Il senso che si chiama “morale”, è quello che il buon lettore deve attentamente andare a cercare: ad esempio, il Vangelo racconta che Cristo salì il monte Tabor per trasfigurarsi e portò con sé solo tre dei dodici apostoli: il significato morale è che le questioni più delicate devono essere condivise tra pochi.
La figura
Infine il senso “anagogico”, o figurale è quello che ci interessa di più per spiegare l’attenzione alla realtà che Dante porta nel suo racconto ì fantastico. Il significato figurale di un personaggio, di un’azione si aggiunge al senso letterale, è il “sovrassenso” di una scrittura “vera” , Il testo cioè non è finzione, è verità, sia nel suo significato letterale e terreno, sia nel suo significato figurale ed eterno.
E Dante fa un esempio: l’esodo di Israele dall’Egitto è un fatto “vero” di cui si può vedere il sovrassenso eterno: il popolo d’Israele che esce dall’Egitto allude alla condizione eterna dell’anima umana libera dal peccato e per questo santa e pienamente padrona di sé. La scrittura è vera nel senso letterale ed esprime contemporaneamente qualcosa che è oltre la lettera.
E’ così che in una storia di viaggio nell’aldilà possono permanere forti le caratteristiche peculiari dell’aldiqua.