↖️ Il diavolo a Mosca (e ovunque). Il Maestro e Margherita: traversie di scrittura e di pubblicazione. Un saggio sul contesto culturale ed editoriale italiano tra la fine degli anni Sessanta/primi Settanta è di Giulia Baselica sulla rivista Tradurre, titolo “Michail Bulgakov nell’Italia della contestazione” Eccone un estratto.
Il Maestro e Margherita in patria …
Il romanzo apparve sulla rivista «Moskva», nei numeri 11 del 1966 e 12 del 1967, «in forma largamente mutilata (il censore eliminò più di quattordicimila parole, corrispondenti a circa un dodicesimo del testo» (Čudakova 2005, 1630). I brani espunti, tuttavia, si erano poi diffusi attraverso il samizdat, la circolazione clandestina di materiale a stampa del dissenso antisovietico nei paesi del “socialismo reale”.
… e fuori: 1967
Nel 1967 la parigina YMCA-Press pubblicò del romanzo la prima edizione integrale e originale, che apparve poi due anni dopo anche per i tipi della casa editrice Posev di Francoforte. Il Maestro e Margherita nella sua forma completa apparve finalmente in patria nel 1973, in una raccolta intitolata Romany (Romanzi) presso la moscovita Chudožestvennaja literatura.
La storia della redazione è anch’essa piuttosto travagliata. Bulgakov iniziò la prima redazione nel 1928; nel 1930 distrusse i manoscritti della prima e della seconda stesura, «lasciando solo alcuni lembi di pagine attaccati alle costole dei due quaderni – per dimostrare che il romanzo ricordato nella sua lettera al governo dell’Urss [del 1930], come “il brogliaccio di un romanzo sul diavolo” era realmente esistito» (Čudakova 2005, 1633). Seguirono altre quattro redazioni e il 24 giugno 1935 il dattiloscritto della versione definitiva era pronto. Ebbe quindi inizio «un minuzioso lavoro di revisione e correzione che continuò fino agli ultimi giorni di vita dell’autore (costretto a letto dalla malattia che lo avrebbe portato alla morte, dettava le correzioni alla moglie)» (Čudakova 2005, 1634). Michail Bulgakov si spense il 10 marzo 1940.
Le prime due traduzioni italiane pubblicate nel 1967 riproducevano la versione censurata del romanzo; la seconda edizione einaudiana, del 1970, corrisponde invece alla redazione completa e non censurata.

Il maestro e Margherita: è il frontespizio della prima edizione. Fu pubblicato nel 1966 in russo, dall’editore francese YMCA-Paaris in Francia. Il testo è quello censurato.

Primissima edizione italiana è quella dell’editore De Donato di Bari sempre nel 1967. È sempre il testo censurato. La traduzione è di Marija Olsuf’eva

Copertina della prima edizione italiana di Einaudi 1967.La traduttrice è. Vera Dridso Il testo è sempre quello censurato. L’edizione integrale sarà pubblicata nel 1970.
La pressoché simultanea pubblicazione delle due versioni del romanzo dette luogo a un complicato caso giudiziario, all’origine del quale si ponevano il ruolo e l’azione di Elena Bulgakova, la vedova dello scrittore: l’anno seguente, infatti, la casa editrice De Donato e la traduttrice Marija Olsuf’eva vennero citate in giudizio dalla casa editrice Einaudi, che rivendicava il diritto esclusivo alla pubblicazione de Il maestro e Margherita (Pavan 2000).
Tutto era cominciato il 6 febbraio 1967, quando Mar’ja Olsuf’eva aveva segnalato a Giorgio Zampa – direttore, fra le altre, della collana De Donato «Rapporti» – la pubblicazione del romanzo bulgakoviano sulla già citata rivista «Moskva», cui era seguita, due giorni dopo, una recensione apparsa sul quotidiano parigino «Le Monde» e intitolata Boulgakov ou le chef d’oeuvre inconnu en U.R.S.S (Bulgakov o il capolavoro sconosciuto in U.R.S.S).
La casa editrice barese affidò a Marija Olsuf’eva la traduzione del romanzo e, quando il dattiloscritto era ormai pronto per la stampa, si venne a sapere che Il Maestro e Margherita stava per uscire presso altri due editori, Rizzoli ed Einaudi. Rizzoli rinunciò alla pubblicazione, mentre Einaudi – che aveva accolto «la segnalazione tempestiva dell’opera da parte del giovane slavista Vittorio Strada, all’epoca residente a Mosca» (Galluzzi 2014, 302) – pubblicò il romanzo con la fascetta «unica edizione autorizzata» (Pavan 2002, 22). La sentenza dette infine ragione all’editore torinese
Eugenio Montale
Il diavolo a Mosca. Ed ora non chiedete ad uno come me, che non sa una parola di russo, di darvi un giudizio estetico su un’opera letta in traduzione e nemmeno posta in rapporto con le non poche altre opera dello stesso autore. Leggi tutto
Recensioni illustri
Eugenio Montale sul Corriere della Sera del 9 aprile 1967. Reperibile nell’archivio storico del quotidiano.
Pietro Zveteremich
Il diavolo a Mosca. Si tratta di un libro ambiguo (nel senso più produttivo della parola): di un’eccezionale operazione di intelligenza e cultura letteraria, di una prodigiosa costruzione di metafore, simboli, allegorie: di un messaggio cifrato in bottiglia (come scrive Zampa), leggi tutto
Pietro Zveteremich su Rinascita del 14 aprile 1967. Basta un clic per raggiungere la Biblioteca Gino Bianco che pubblica il testo originale.
Il diavolo a Mosca (e ovunque)
La mia non è una recensione, è una lettera aperta ai lettori di italianacontemporanea.com
Perché, cari signori, il diavolo esiste! e spesso domina le nostre vite sotto mentite spoglie. Nei panni di un illusionista, certo Voland, il diavolo compare in un giardino di Mosca in una bella sera primaverile, e mette sottosopra la città svelandone la vita fondata sulla bugia. Ma la pratica sistematica della menzogna nel tempo avvelena. Ne sa qualcosa il procuratore di Roma in Giudea, un certo Ponzio Pilato, di cui qui si racconta la storia.
Ma non era la storia del diavolo a Mosca? Ponzio Pilato che c’entra? C’entra, perché la sua storia è stata immaginata da uno scrittore che vive anche lui a Mosca quando in città arriva il diavolo. Il link tra il diavolo che conosce Ponzio Pilato direttamente (è il testimone oculare del processo – si fa per dire- che condanna a morte Yeshua Ha-Nosri il 14 del mese di Nisan) e lo scrittore moscovita che ora soffre di forte esaurimento nervoso seguito al divieto di pubbicare, il link dicevo, è Margherita.
Non un romanzo, ma due
Insomma leggerete non un romanzo, ma due, se mai doveste decidervi a leggere; non è mai troppo tardi! Ttutt’e due questi romanzi sono a tratti esilaranti tratti commoventi, e sempre grandiosi come tutte i capolavori letterari che rappresentano non una porzione di mondo (quella è per i critici e i saggisti) ma IL mondo.
Non vi rovinerò il piacere di leggere la storia raccontandovela, vi dirò invece dove mi sono divertita tanto, dove mi sono commossa tanto.
Manici di scopa
Anzitutto devo dirvi del regalo favoloso, anzi è proprio il caso di dire diabolico, che il diavolo fa avere tramite uno dei suoi aiutanti a Margherita. UNA CREMA CHE RINGIOVANISCE!!!! Si spalma sul corpo … e torni bella come quando eri una ragazza. E questa è la prima cosa! Poi questa crema ha anche la proprietà di renderti invisibile. E, capite che si possono fare molte cose da invisibili! Per esempio devastare la casa di quel potentissimo mascalzone presidente degli Scrittori Proletari (RAPP) che ha rovinato la carriera e la salute del Maestro. Sicché dà grande soddisfazione personale al lettore la pagina di Margherita invisibile che vola su un manico di scopa (certo, che altro fa una strega?!) e devasta l’appartamento dell’altissimo papavero della nomenklatura. Il piacere sta nel vedere castigato finalmente il cattivo.
Vendetta
Margherita furiosa e lucidissima apre tutti i rubinetti e allaga la casa e fracassa tutti i bicchieri, i piatti, i mobili … insomma a soqquadro tutto l’appartamento!
Stralunati il portiere e i vicini: vedono l’acqua che scorre, vedono gli oggetti andare in pezzi … da soli … non capiscono cosa li faccia esplodere, perché Margherita è invisibile!
La tremenda vendetta libera Margherita dalla sua stessa rabbia dalla sua frustrazione dal suo dolore. Ed ecco Margherita che vola via! Libera e felice nell’oscurità, vede dall’alto la Russia immensa e profonda. Un paesaggio maestoso Margherita intravvede nel buio, un paesaggio che ama e la commuove, e noi con lei. È l’amore per un luogo che è quello dove vivi, di cui conosci le abitudini, di cui parli la lingua e sai di cosa si parla in quella lingua, … questo è amor di patria. Non gli inni e le retoriche del siamo i più bravi … la commozione di Margherita coinvolge il lettore perché ha una radice semplice.
E il Maestro?
Se la storia del Maestro e di Margherita fosse un’opera, la parte del Maestro sarebbe quella del contrappunto. Margherita è indignazione, il Maestro è malinconia; Margherita è ribellione, il Maestro rassegnazione. È insomma una voce diversa, è un personaggio che sta “fuori”, è ammalato, sta in una clinica. All’origine del suo esaurimento nervoso sta l’impossibilità di pubblicare, che per uno scrittore è come vietargli di respirare. Il veto opposto dagli alti funzionari da cui dipende ciò che si pubblica o no in URSS, ha sconvolto la vita del Maestro.
L’unica persona cui tiene, fa bisogno di dirlo? è Margherita. Ricorda il loro incontro per strada, Margherita ha una mazzo di brutti fiori gialli. Margherita raggiunge ogni giorno il Maestro nelle sue due povere stanzette, ma in quei giorni il Maestro e Margherita sentivano che la loro vita era degna d’essere vissuta.
Vivevano un momento prodigioso, per la ricchezza dei loro sentimenti, per la pienezza dell’invenzione del Maestro che crea, e per il piacere di Margherita che legge,
Pilato
Già, ma cosa in quelle due povere stanzette e in quel periodo favoloso si stava scrivendo? L’incontro del procuratore di Roma in Giudea, un uomo di potere, e un povero cristo di nome Yeshua Ha-Nosri (in aramaico significa Gesù Nazareno) che viene dalla città di Gamala, non ha famiglia né ricorda i suoi genitori, non ha fissa dimora, ma conosce il greco e il latino, consiglia bene Pilato sul suo mal di testa e, per farla breve, ispira simpatia.
Il procuratore Pilato infatti ha intenzione di chiudere il processo a Yeshua perché non ci sono i motivi per procedere. Ma quando il suo segretario gli passa le carte del processo già istruito dai poteri locali, si accorge di non poter chiudere nel modo che aveva immaginato, La storia è nota: l’odio dell’establishment contro Yeshua è tale che la piazza manipolata dal Sinedrio sceglie di graziare un assassino, Barabba, mentre Yeshua coi due ladroni si avvia al supplizio. Ponzio Pilato è costernato.
Il supplizio della croce
Nessuno ha mai raccontato cos’è essere crocifissi come questo romanzo. Si immagina certamente che è una morte lenta e tormentosa, ma i grandi tafani che succhiano le ascelle e l’inguine di Yoshua, il suo viso interamente coperto di mosche… sono un racconto splatter come in Dante gli escrementi del secondo cerchio di Malebolge.
Il rimorso di Pilato
Pilato conosce bene che supplizio sia la croce e dà segretamente incarico ad un suo agente di finire subito il povero Yeshua, ma intorno al procuratore romano si avviluppano le azioni avide del sottobosco sia dei poteri locali sia dei funzionari imperiali tesi a far bottino, il più grande e rapido possibile.
Pilato non è un ingenuo, ma per stanchezza e per codardia asseconda prima il gran sacerdote e i suoi che odiano Yeshua e lo vogliono morto, poi si ostina a credere nella fedeltà di Afranio un militare che gli fa da informatore, si ostina a ricoprirlo di elogi e onori. Afranio incassa da Pilato, e dal Sinedrio. È molto ossequiente, ma serve solo il suo interesse. Pilato lo sa. È uomo che ha grande esperienza della vita e soprattutto del potere. Per questo Pilato è tormentato per sempre dal rimorso di aver condannato ad una morte orribile un poveretto innocente e di non averlo neppure aiutato a morire. La codardia, dice Yeshua memorabilmente, è il peccato peggiore.
Il peccato più grave è la codardia
Questo è il nucleo dolente e delicato del romanzo. È facile vedere in filigrana i processi crudeli dell’era staliniana al suo culmine negli anni Trenta. Ai moltissimi, artisti, funzionari di partito, semplici cittadini chiusi in carcere, torturati per ottenere la confessione di reati mai commessi e condannati a morte o alla deportazione nel gulag, dove si muore comunque suppliziati.
Ma c’è di più: il racconto di Bulgakov ho un respiro più vasto, La storia di cui Yeshua paga il dazio non allude solo alla repressione staliniana degli anni Trenta, racconta anche il futuro perché il diavolo è monotono si ripete sempre. Dove è diretti, in fondo si sa già: a far del male al maggior numero di persone possibili.
Gregarietà
Bulgakov racconta quindi una caratteristica umana molto diffusa in ciascuno: gli esseri umani sono gregari è la loro natura vivere in gruppo e uniformarsi al volere del più forte, come dice Primo Levi in tante pagine. Ponzio Pilato non fa eccezione, ma per tutta la vita che gli resta da vivere sa, e soffre per questo, di essersi comportato vilmente. Si può perdonare Ponzio Pilato? Non ve lo svelerò. Ma già aver posto il problema vi dice perché questo romanzo potrebbe essere ascritto al genere del conte philosofique, benché si possa dire anche che sia un romanzo satirico o un romanzo storico. Leggete la recensione del professor Zveteremich che ricostruisce – tra le altre cose – la genealogia letteraria di questo capolavoro che Montale, nella sua di recensione, definisce un romanzo “vero”.